Visita alla mostra di Alberto Burri - UICIRA

Foto realizzata durante la mostra

Giovedì 11 gennaio la Sezione UICI di Ravenna ha organizzato una visita guidata della mostra di Alberto Burri, presso il MAR, alla Loggetta Lombardesca cui ha preso parte una ventina di noi tra non vedenti e accompagnatori.

La nostra guida, come in varie altre occasioni, è stato Filippo Farneti, che questa volta è stato coadiuvato da Giulia. Abbiamo visitato alcune sale del museo dove sono, al momento, conservate alcune opere del maestro. Si tratta di quadri di colore nero di un materiale formato da catrame, sabbia, vinavil, pietra pomice, olio, detti “catrami”. La superficie di questo materiale è stata levigata in vario modo dall’artista, cosicchè che la luce venga riflessa in modo diverso, producendo speciali effetti di rifrazione della luce. In un angolo di questi dipinti o in una loro piccola porzione sono adese una sorta di figure geometriche: triangoli, trapezi, piccole lune, forme tondeggianti di colore dorato. Questi quadri sono di varia grandezza e alcuni raggiungono misure ragguardevoli, come il grande pannello Fiat, esposto in una concessionaria di automobili romana negli anni ‘50, un quadrato di cinque metri di lato.

Burri era un medico, nato a Città di Castello, in Umbria, nel 1915 . Durante l’ultima guerra mondiale fu fatto prigioniero dagli americani in Africa e condotto in un campo di prigionia in Texas, fu lì che cominciò ad esercitare la sua arte. Rientrato in Italia dopo la guerra continuò a dedicarsi alla pittura e, dopo alcuni anni, ebbe un notevole successo, essendo le sue opere molto apprezzate da poeti come Giuseppe Ungaretti, personalità della cultura, critici, come Irene Brien, pittori, scultori come Pericle Fazzini e dal pubblico.

La sua produzione di quadri cambiò nel tempo. Le prime opere erano costituite da “catrami”, in seguito iniziò a comporre opere con sacchi di iuta usati, sporchi, stracciati, parzialmente bruciati che egli ricuciva e incollava su un supporto. Questi pezzi di iuta erano colorati talora di un giallo tenue. In seguito eseguì delle opere d’arte in ferro con delle saldature, un esempio di ciò sono le mani che emergono dal terreno nel cortile del Pala de Andrè, qui a Ravenna, posizionate una di fronte all’altra, dette “Il grande ferro R” commissionate da Raul Gardini. Poi ancora eseguì delle opere di carta su tela. Negli anni ’70 ideò i cosiddetti “cretti”, quadri eseguiti con una miscela di caolino, bianco di zinco su una base di collanti acro vinilici. Un’opera particolare è quella che eseguì a Gibellina, nel Belice, dove l’artista rimise assieme le macerie del terremoto col cemento su una superficie di 90.000 metri quadrati.

Burri si sposò nel 1955 ed espose varie volte in Italia e in America: a New York, a Chicago e in altre località. Gli fu d’aiuto l’amicizia con James Jonson Sweeney, direttore di un importante museo di                 New York, che pubblicò anche una monografia dell’artista. Espose in vari stati europei, in Medio Oriente, in Africa e perfino in Australia. A Città di Castello, sua città natale, comprò due edifici, uno dei quali era un palazzo in cui veniva essiccato il tabacco, il secondo, un palazzo signorile nel centro della città, dove sono conservate molte sue opere. Burri visse a Roma, dove ebbe uno studio in via Margutta negli anni ’50. Aveva una casa a Los Angeles, dove passava l’estate. Negli ultimi anni della sua vita si trasferì in Costa Azzurra e morì a Nizza nel 1995.

Grazie alla competenza ed alla sensibilità di Filippo Farneti che ha predisposto anche dei modellini delle opere esposte, i soci hanno potuto apprezzare la mostra nelle sue diverse componenti.

Articolo di Riccardo Satriano