Articolo de "Il Ponte" del 7 febbraio 2021 - "Ciechi e Ipovedenti, la nostra vita nella pandemia"

Ciechi e Ipovedenti, la nostra vita nella pandemia

Il tatto è uno dei principali veicoli di contagio, ma senza di esso i non vedenti rischiano una doppia cecità.

(articolo di Simone Santini - Il Ponte)

Per una persona non vedente o ipovedente, il tatto rappresenta la “misura degli occhi”. Attraverso il tatto, infatti, chi non può vedere è in grado di rapportarsi in modo diretto con l’ambiente circostante, permettendo di percepire, anche se in modo diverso, il mondo. Ma l’arrivo della pandemia scombina tutto: fin dall’inizio della crisi sanitaria, infatti, ci è stato detto che proprio attraverso il tatto ci sono i maggiori rischi di veicolare il virus. Da strumento per conoscere il mondo, il tatto diventa uno dei maggiori pericoli del mondo. E, per i non vedenti, questo può significare isolamento totale. Ad un anno di distanza dall’inizio della pandemia, com’è cambiata la quotidianità delle persone che vivono una condizione di disabilità visiva? E come affrontare una sfida, l’ennesima, così grande? Risponde Nicolina Emanuele, presidente della sezione territoriale di Rimini dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti.

 

Cos’ha significato l’arrivo di un’emergenza come questa per tutte le persone non vedenti o ipovedenti?

“L’utilizzo del tatto, per le persone non vedenti o ipovedenti, è davvero fondamentale, perché è ciò che permette di percepire e interagire in modo diretto con l’ambiente circostante. Possiamo dire che, in sostanza, le mani sono la misura dei nostri occhi. In questa grande emergenza, dunque, non vedenti e ipovedenti sono chiamati a mettere in atto un comportamento che conoscono bene: il riadattamento, la ricerca di modalità e strategie nuove per vivere e rapportarsi col mondo”.

Come, nello specifico?

“Come detto, il tatto è strettamente necessario per la nostra vita, difficilmente sostituibile. L’unica soluzione, quindi, è stata quella di aderire con ancora più attenzione alle norme sull’igienizzazione costante delle mani, oltre alla già dovuta prudenza. Uno degli elementi più traumatici è stato l’utilizzo dei guanti, soprattutto nelle prime fasi della pandemia: i non vedenti hanno un tatto molto sviluppato, una grande sensibilità nelle mani, e l’utilizzo dei guanti può portare a un vero e proprio isolamento. E non solo: i guanti non li puoi mettere e togliere in continuazione, quindi paradossalmente possono diventare in poco tempo dei ricettacoli ancora maggiori per il virus. Devo dire, però, che un grande aiuto per permetterci di adattarci a questa nuova situazione è arrivato non solo dalle nostre risorse e forze personali, ma anche dall’atteggiamento generale della collettività”.

In che senso?

“In linea generale abbiamo riscontrato una grande sensibilità da parte delle altre persone nei confronti dei non vedenti e degli ipovedenti, un atteggiamento che ha agevolato molto le nostre possibilità di reagire a questa emergenza e ritrovare una nostra quotidianità. Sensibilità in diversi ambiti, come ad esempio il mondo del lavoro: pensiamo allo smartworking, applicato subito ai lavoratori più fragili o più a rischio. Oltre a questo, ci sono rapporti positivi anche con gli enti di volontariato, ci sono importanti canali di collegamento con realtà come la Croce Rossa o la Protezione Civile, per strutturare servizi che diano ulteriore sostegno a persone non vedenti in condizioni di particolare difficoltà, come ad esempio chi si trova da solo a casa e non ha possibilità di rapporti con i familiari”.

C’è una solidarietà diffusa, dunque, verso i non vedenti. È così anche per quanto riguarda le istituzioni? Vi sentite ascoltati e tutelati?

“Ad oggi c’è una buona collaborazione. Penso, ad esempio, a un intervento del Commissario straordinario per l’emergenza Arcuri, in collaborazione con la sede nazionale dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, grazie al quale abbiamo avuto la possibilità di strutturare delle liste che permettano alle persone con disabilità visiva di accedere ai vaccini anti-Covid il prima possibile. Anche il rapporto con gli enti locali è stato, fino ad oggi, positivo e spero che col tempo possa migliorare sempre di più”. 

Nonostante una generale situazione positiva, però, è inevitabile un certo impatto psicologico dovuto allo scoppio della pandemia, amplificato in persone che vivono una condizione di disabilità visiva.

“Sì, e dipende molto, ovviamente, dalle peculiarità di ogni singola persona. Se pensiamo, ad esempio, alle persone più anziane, le criticità aumentano: come sappiamo, gli anziani corrono i maggiori rischi con il virus e per questo sono fortemente incoraggiati a restare a casa, molto spesso in totale isolamento. Una condizione, questa, molto critica per persone con disabilità visiva. Ma non solo: altre situazioni difficili riguardano i più piccoli: ai bambini non vedenti è molto difficile spiegare di non toccare gli oggetti, di non abbracciare i propri genitori o i propri amici, oltre a tutte le difficoltà legate alla vita scolastica. O, ancora più evidente, tutte le complicazioni legate alla lettura, che per i non vedenti è letteralmente legata al tatto, attraverso la scrittura Braille. Tutto questo crea disagi che sono inevitabilmente amplificati tra coloro che sono non vedenti o ipovedenti”.

Concludiamo, se mi permette, con una domanda personale, in modo da dare testimonianza: lei come sta affrontando tutte le difficoltà di cui ha parlato?

“Cerco sempre di portare il mio messaggio: trasformare la propria disabilità, nel mio caso visiva, in una grande abilità. L’arrivo del Covid, se lo guardiamo sotto l’aspetto delle criticità che porta con sé, noi disabili in realtà è come se lo vivessimo da sempre: se si ha la forza di capire questo, mettendo in relazione questa esperienza così attuale con la vita quotidiana, è possibile mettere da parte la paura e vivere questo tempo senza timore. Occorre, dunque, saper guardare la realtà in modo diverso, con una luce diversa, quella che Dio ci mette negli occhi ogni giorno. È la Fede la ricchezza dell’uomo, ma l’uomo deve voler attingere da essa: parlando personalmente, il Signore mi dà ogni giorno la possibilità di vedere la luce, ma non nel senso comune del termine. È una luce più bella, che tutti dovrebbero assaporare. Con essa, tutto diventa affrontabile”.


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